Verso Benares: Viaggiatori senza mappa e l’India interiore
Verso Benares (2022) è un documentario poetico italiano che immerge lo spettatore nei ritmi sacri dell’India, esplorando i temi della spiritualità, della percezione e della natura metafisica del viaggio. Con le sue immagini contemplative e la quasi totale assenza di narrazione, il film costruisce uno spazio meditativo in cui il tempo si dissolve e la trasformazione interiore diventa la vera destinazione. Questo saggio collega l’opera a un contesto culturale più ampio, unendo la tradizione cinematografica indiana introspettiva alla sensibilità letteraria di Pierre Loti, lo scrittore francese che cercava l’“India” non solo come luogo geografico, ma come metafora spirituale.
Pierre Loti e il mito dell’India interiore
Pierre Loti (1850–1923), sebbene non immerso nell’India quanto altri scrittori orientalisti, resta una figura chiave nell’immaginario poetico occidentale sull’Oriente. In L’Inde (sans les Anglais) (1903), presenta un’India filtrata attraverso il suo sguardo malinconico — mistica, cerimoniale, inaccessibile. I suoi scritti di viaggio rifiutano la linearità e abbracciano impressioni frammentarie, generate da un’anima inquieta in cerca di verità oltre l’apparenza. Sebbene i suoi romanzi più noti, come Pêcheur d’Islande, non riguardino l’India, i suoi scritti indiani lo collocano tra i “viaggiatori senza mappa”: viandanti guidati più dall’inquietudine spirituale che dalla geografia.
Questa sensibilità poetica risuona con l’etica di Verso Benares, dove il viaggio esteriore — attraverso templi, fiumi e rituali — riflette un pellegrinaggio interiore. Il protagonista, anonimo e senza contesto narrativo, osserva più che agire. Il film riflette così il principio di interiorità caro a Loti: l’India non si scopre, si subisce.
Verso Benares: una meditazione cinematografica
Piuttosto che seguire una trama convenzionale, Verso Benares si sviluppa come un raga cinematografico — una progressione lenta e deliberata di motivi visivi: il Gange all’alba, corpi immersi nei rituali, bambini che giocano nei pressi dei templi, il suono lontano della preghiera. La macchina da presa non interpreta, ma testimonia.
Non vi è alcun “Jacques” nel film, né un viaggio narrativo verso la sorgente del fiume: questi elementi appartengono a una precedente sintesi fittizia. La vera forza di Verso Benares sta proprio nella sua rinuncia alla guida e alla spiegazione. È in quest’assenza di trama che lo spettatore trova uno spazio contemplativo, simile a quello coltivato nelle tradizioni ascetiche indiane.
Echi nel cinema indiano: il paesaggio interiore
L’idea di “India interiore” è stata a lungo esplorata nel cinema d’autore indiano. Registi come Ritwik Ghatak, Satyajit Ray e Mrinal Sen hanno indagato la profondità psicologica e spirituale dell’identità indiana, soprattutto nei momenti di crisi politica e ridefinizione postcoloniale.
Meghe Dhaka Tara (1960) di Ghatak affronta il trauma dello sfollamento attraverso paesaggi sonori ossessivi e una struttura mitica. Charulata (1964) di Ray esplora la solitudine e il desiderio all’interno dell’élite bengalese. Entrambi, pur radicati nel realismo, tendono verso il simbolico. I loro protagonisti, come l’osservatore di Verso Benares, vivono l’India come un territorio dell’anima.
Queste opere non sono unite dal contesto, ma dall’attenzione all’interiorità. In tutte, la “mappa” è instabile. Il vero cammino passa attraverso la quiete, il rituale, la memoria e il confronto con sé stessi.
Conclusione: il film come pellegrinaggio interiore
Verso Benares si inserisce in una silenziosa tradizione di cinema spirituale. Rifiutando voce narrante, trama e spiegazioni, invita lo spettatore a sostare nel silenzio tra le immagini, come un pellegrino che si siede accanto al Gange per osservare il fiume scorrere. Questa è l’essenza del viaggio interiore.
Pierre Loti, gli autori indiani del XX secolo e cineasti contemporanei di tutto il mondo condividono una stessa comprensione: i luoghi sacri non sono determinati dalla geografia, ma dagli stati percettivi. A Benares, il mondo visibile è solo un riflesso. La vera India — come il vero sé — emerge solo quando si smette di volerla afferrare.