Durante il periodo coloniale, l’India fu molto più di una terra da conquistare: fu, per molti scrittori europei, una soglia verso l’altrove, una lente per interrogare la propria identità, e un mistero da decifrare. In quell’intreccio di potere imperiale, spiritualità millenaria e contrasti culturali, si sviluppò un corpus letterario affascinante, nel quale l’esperienza indiana divenne un prisma attraverso cui riflettere sulla civiltà occidentale, sulla modernità e sul senso stesso del viaggio.

Un punto di riferimento imprescindibile in questo discorso è Pierre Loti e il suo diario di viaggio Verso Benares (1901). Con la sua prosa lirica e contemplativa, Loti non descrive l’India con il tono dell’esploratore, ma con quello del pellegrino. Le pagine dedicate a Benares (oggi Varanasi) restituiscono un’esperienza quasi estatica: la città sacra sulle rive del Gange, con i suoi riti, i suoi templi e le sue ombre, diventa per Loti uno specchio dell’assoluto, un luogo fuori dal tempo in cui l’Occidente si confronta con un mondo spirituale tanto diverso quanto vertiginosamente profondo.

Ma Loti non è un caso isolato. Rudyard Kipling, nato in India da genitori britannici, offre un approccio differente, radicato nell’intreccio tra dominio coloniale e fascinazione orientale. Nei suoi racconti, come Kim, la spiritualità indiana diventa parte integrante del paesaggio umano e simbolico, benché ancora intrisa di un’ottica coloniale. Kipling è attratto dal misticismo, ma spesso lo interpreta secondo categorie occidentali di esotismo e alterità.

Anche Mark Twain, durante il suo viaggio in India nel 1896, rimase profondamente colpito dalla religiosità e dalla complessità sociale del paese. Nel suo Following the Equator, Twain descrive con ironia e stupore i rituali indiani, ma si percepisce, al di là della satira, un senso di ammirazione per una civiltà capace di mantenere un contatto così stretto con il divino, in contrasto con la crescente secolarizzazione dell’Occidente.

Ciò che accomuna questi scrittori — nonostante le diverse prospettive culturali, religiose e politiche — è la ricerca di un senso del sé attraverso l’esperienza indiana. L’India non è semplicemente una tappa geografica nei loro itinerari, ma una prova interiore, un punto di frizione e rivelazione. Incontrare l’India significava, per molti, entrare in contatto con un’altra concezione del tempo, della morte, del sacro — e, inevitabilmente, della propria identità.

In un’epoca in cui l’Europa si sentiva al culmine della sua potenza coloniale, questi scrittori hanno aperto uno spazio ambiguo, a metà tra il fascino dell’altro e il dubbio sul proprio mondo. L’India diventa così un luogo letterario di trasformazione: non solo un “Oriente da raccontare”, ma una forza capace di trasfigurare lo sguardo di chi scrive.