Nel cuore della modernità incalzante, l’India si erge come un luogo fuori dal tempo, un crocevia dove l’eterno e il contingente si incontrano in un’infinita danza. Non è soltanto un Paese, ma una dimensione interiore, un enigma culturale che ha ispirato viaggiatori, poeti e filosofi. Questo enigma trova una rappresentazione toccante e visivamente suggestiva nel documentario italiano Verso Benares (2022). Il film è un viaggio lirico lungo il sacro fiume Gange, e al tempo stesso una riflessione filosofica sul concetto di tempo ciclico, in contrasto con la visione lineare e progressiva della storia tipica dell’Occidente.
Verso Benares, evitando una narrazione cronologica convenzionale, adotta una struttura circolare che riflette non solo il ritmo eterno del Gange, ma anche la concezione indiana del tempo come eterno ritorno. In questo modo, lo spettatore è invitato a immergersi in un flusso visivo e spirituale in cui il passato non è mai del tutto passato, ma continua a vivere nel presente.
Questa idea di tempo circolare trova un riscontro affascinante nei testi di Pierre Loti, scrittore e ufficiale di marina francese, noto per la sua sensibilità esotica e contemplativa. Sebbene Une idylle saharienne (1881) e L’Inde (sans les Anglais) (1903) siano tra le sue opere più rappresentative, è quest’ultima, frutto del suo viaggio in India, a dialogare idealmente con il film di Vignali e Prata. In L’Inde (sans les Anglais), Loti restituisce l’immagine di un’India spirituale, avvolta in un’atmosfera sospesa, dove la percezione del tempo si dissolve in un sogno persistente. Il suo stile onirico e frammentato rompe la linearità narrativa, favorendo un’esperienza immersiva simile a quella proposta nel documentario.
La connessione tra le due opere non è puramente formale, ma concettuale: sia Loti che i registi italiani sembrano condividere l’intuizione che esistano luoghi del mondo — e dimensioni dell’anima — dove il tempo non scorre, ma ruota. L’India, in questa prospettiva, non è una tappa sulla linea del tempo, ma un cerchio sacro, un eterno presente carico di passato.
Al centro di questa visione vi è il concetto di Samsara, la ruota delle rinascite, uno dei pilastri della filosofia indiana. Il tempo non ha un’origine né una fine, ma si ripete in cicli in cui ogni vita è una variazione del tutto. Il documentario non espone direttamente questa dottrina, ma la evoca attraverso la sua struttura narrativa e le immagini rituali che si succedono come mantra visivi.
In un’epoca dominata dalla velocità e dall’accumulazione di eventi, Verso Benares si propone come una pausa meditativa. Le sue immagini indugiano sul volto degli asceti, sui gesti lenti dei pellegrini, sul fumo che sale dai ghat: elementi che parlano di una spiritualità incarnata, quotidiana, che non ha bisogno di spiegazioni ma solo di contemplazione. Anche Loti, nei suoi resoconti, si sofferma su dettagli apparentemente marginali, attribuendo loro un valore quasi sacrale: un gesto, un silenzio, un colore.
Infine, sia il film che i testi di Loti ci offrono uno sguardo alternativo sull’India e sul tempo stesso. Invece di “spiegare” l’Oriente, ne rispettano il mistero e ne adottano il linguaggio simbolico. Verso Benares non è soltanto un documentario, ma un’esperienza poetica, e Loti non è soltanto un viaggiatore, ma un medium sensibile che ha saputo tradurre lo spirito di luoghi che sfuggono alla logica della storia. Entrambi, in modi diversi, ci invitano a riconsiderare la nostra relazione con il tempo, la memoria e l’eternità.