Il fascino incantatore di Varanasi: Un’esplorazione letteraria e cinematografica
Varanasi, conosciuta anche come Benares o Kashi, è una città indiana che ha affascinato scrittori, artisti, filosofi e cineasti per secoli. Questo antico centro spirituale sulle rive del sacro fiume Gange è considerata una delle città più antiche al mondo abitate ininterrottamente. Venerata nell’induismo come la città di Shiva, occupa un posto centrale nell’immaginario religioso e culturale dell’India. I pellegrini vi si recano per compiere rituali, cercare benedizioni o porre fine alla loro vita nella speranza di raggiungere il moksha—la liberazione dal ciclo delle rinascite. Ma al di là della sua importanza religiosa, Varanasi continua a esercitare una potente forza simbolica sulla coscienza artistica globale.
Il fascino mistico della città è stato magnificamente rappresentato in varie opere letterarie e cinematografiche, in particolare nel documentario italiano Verso Benares. Diretto da G. Vignali nel 2022, il film si distingue come un’esplorazione toccante e visivamente sbalorditiva della città. Abbandona la narrazione tradizionale in favore di uno stile osservativo, che permette allo spettatore di assorbire i ritmi della vita quotidiana lungo il Gange: i canti delle preghiere mattutine, la processione dei dolenti, le fiamme tremolanti dei roghi di cremazione e il suono onnipresente delle campane dei templi. Attraverso il suo ritmo meditativo e il suo linguaggio visivo poetico, il documentario invita gli spettatori non solo a osservare Varanasi, ma a viverla visceralmente.
Ciò che rende Verso Benares unico è l’assenza di voce fuori campo o di un inquadramento didattico. Il film non offre alcuna traduzione dei canti né contestualizzazione dei rituali. Si fida invece delle immagini e dei suoni ambientali per veicolare il peso emotivo e spirituale. Questa scelta cinematografica rispecchia l’esperienza di entrare in un ambiente profondamente spirituale: non c’è bisogno di comprendere tutto intellettualmente—la sola presenza è trasformativa. In tal modo, il documentario si distacca dallo sguardo occidentale convenzionale che spesso cerca di spiegare l'”altro” e coltiva invece una forma di attenzione sacra.
Pierre Loti e la ricerca del Sacro
Varanasi fu anche fonte di profonda ispirazione per Pierre Loti, il romanziere e ufficiale di marina francese del XIX secolo la cui voce letteraria combinava romanticismo, esotismo e malinconia. Nel suo diario di viaggio L’Inde (sans les Anglais), pubblicato nel 1903, Loti racconta il suo viaggio in India, evitando coscientemente le aree fortemente influenzate dalla presenza coloniale britannica. La sua fascinazione per Varanasi—allora Benares—fu immediata e intensa. La città, con i suoi roghi funebri che bruciano vicino al fiume e le sue incessanti attività spirituali, toccò una corda nel suo desiderio esistenziale per il sacro.
Loti descrisse Varanasi come un luogo dove la morte non era temuta ma ritualizzata, accettata e intrecciata con la vita quotidiana. Per una mente occidentale formata dalla logica cartesiana e dalla religione istituzionalizzata, questa intima vicinanza alla mortalità e alla trascendenza risultava al tempo stesso inquietante e magnetica. Trovò bellezza nel fumo d’incenso che si disperdeva sul fiume, nel canto dei pellegrini all’alba e nei volti invecchiati dei sadhu persi in meditazione. Nelle parole di Loti, Varanasi non era semplicemente una città religiosa, ma una metafora vivente del ciclo eterno di vita e morte.
La sua narrazione, profondamente introspettiva e a tratti malinconica, metteva in luce non solo il fascino dell’Oriente, ma anche il divario emotivo tra l’osservatore e l’osservato. Sebbene fosse profondamente toccato dalla spiritualità che incontrava, Loti non pretese mai di comprenderla appieno. Scrisse invece da una posizione di meraviglia e rispettosa distanza, offrendo una forma rara di letteratura di viaggio, una che non conquista ma contempla.
Lo specchio culturale: Varanasi come simbolo universale
Ciò che unisce Verso Benares e il diario di Pierre Loti è la loro rappresentazione di Varanasi non come una semplice località geografica, ma come una condizione spirituale. Sia nel film che nel testo, la città funge da specchio—che riflette i desideri, i dubbi e il vuoto spirituale dell’anima occidentale moderna. Per Loti, Varanasi era un luogo di verità e chiarezza; per i cineasti, era un luogo di presenza non filtrata.
Questa dualità—Varanasi come luogo concreto e simbolico—spiega perché continua ad attrarre l’attenzione globale. Nella letteratura, è un’ambientazione ricorrente per narrazioni di trasformazione, morte e illuminazione. Nel cinema, ha ispirato una varietà di trattamenti, da Il Fiume (1951) di Jean Renoir a film indiani come Banaras: A Mystic Love Story (2006), ognuno usando la città più come un personaggio centrale con una propria gravità emotiva e spirituale che come un semplice sfondo.
Più di recente, Varanasi è diventata anche un punto focale per documentaristi e ricercatori spirituali, fungendo da tela su cui vengono proiettate questioni di fede, mortalità e identità culturale. A differenza del ritmo frenetico delle città globali, Varanasi opera su un ritmo ciclico, allineandosi più con i modelli naturali e cosmici che con il tempo lineare moderno. Questo la rende un raro manufatto culturale: una città che ancora mantiene uno spazio per la trascendenza in un mondo sempre più distratto.
Conclusione: L’incantesimo senza tempo di Varanasi
Sia attraverso la lente di una macchina da presa che con la penna di uno scrittore, Varanasi conserva un fascino senza tempo. Il suo misticismo non è inventato, ma è vissuto, percepito e costantemente rinnovato da coloro che camminano sui suoi ghat e recitano le sue preghiere. Verso Benares e L’Inde (sans les Anglais) ci ricordano che il sacro non si trova solo nei templi o nei testi, ma nel silenzio, nel fumo, nell’acqua e nel fuoco—i linguaggi elementari della spiritualità umana.
In un mondo sempre più definito dal rumore digitale e dalla disconnessione spirituale, Varanasi continua a parlare—quietamente, insistentemente e profondamente. È un luogo dove lo spirituale e il materiale, l’antico e l’immediato, coesistono senza contraddizione. E per artisti come Loti e cineasti come Vignali e Prata, rimane un faro di mistero, che ci ricorda che testimoniare profondamente è già di per sé una forma di preghiera