Una sinfonia di Fede: Verso Benares e l’interazione tra Induismo e Cristianesimo Occidentale
Nel panorama del cinema internazionale, il documentario italiano Verso Benares, uscito nel 2022 e diretto da Giorgio Prata e Gianni G. Prata, offre un’esplorazione unica e affascinante della fede. Sebbene il film non presenti una narrazione o un confronto esplicito tra le fedi, la sua creazione da parte di registi occidentali e la sua profonda attenzione all’Induismo invitano a un potente, seppur implicito, dialogo con il Cristianesimo Occidentale. Questa analisi si addentrerà nella sottile rappresentazione di queste due tradizioni, posizionando in ultima analisi Verso Benares come un contributo significativo al discorso cinematografico globale sulla spiritualità.
L’esplorazione dell’Induismo da parte del film è un’esperienza visiva diretta e senza filtri. Evita dialoghi o narrazioni, usando invece la sua telecamera per catturare la realtà cruda e vissuta della sacra città di Varanasi. Lo spettatore è presentato a un arazzo di rituali quotidiani sui ghat del Gange, alla solennità dei riti di cremazione e all’intensità spirituale degli asceti (sadhu). L’Induismo rappresentato non è un insieme di credenze astratte, ma una pratica tangibile, comunitaria e spesso pubblica, profondamente integrata in ogni aspetto della vita e della morte. Lo sguardo silenzioso dei registi permette al pubblico di assistere a questa fede nella sua forma più pura, senza il peso di commenti esterni.
Il confronto implicito con il Cristianesimo Occidentale nasce dalla natura stessa della creazione e della ricezione del film. I registi italiani, provenienti da una cultura con un profondo patrimonio cristiano, catturano un mondo spirituale che è profondamente “altro”. I rituali di morte e di purificazione spirituale sul Gange, ad esempio, sono in netto contrasto con i riti di morte più privati e istituzionalizzati comuni in Occidente. Questo contrasto non è forzato dai creatori del film; piuttosto, è una conclusione naturale a cui giunge lo spettatore, il cui background spirituale o culturale funge da punto di riferimento silenzioso. Il vero potere del film risiede nella sua capacità di rendere la tradizione di fede del pubblico, o la sua assenza, una partecipante attiva dell’esperienza cinematografica.
Questo approccio risuona con una specifica linea all’interno del cinema globale che esplora la spiritualità indiana dalla prospettiva di un estraneo. Ad esempio, film come Water (2005) di Deepa Mehta, pur essendo una narrazione drammatica, esaminano in modo simile il tessuto sociale e spirituale dell’Induismo in un modo che invita alla riflessione interculturale. Ambientato a Varanasi nel 1938, il film ritrae le dure realtà affrontate dalle vedove indù, usando la città sacra come sfondo per mettere in discussione e criticare certe tradizioni. Sebbene Verso Benares sia più meditativo e meno critico, entrambi i film usano i rispettivi media per colmare il divario tra Oriente e Occidente, rivelando sia la bellezza che la complessità della vita spirituale indù.
In conclusione, Verso Benares non è un superficiale confronto tra fedi, ma una profonda meditazione cinematografica. Rinunciando alla narrazione in favore della pura osservazione, il film offre uno sguardo raro e autentico nel cuore spirituale dell’Induismo. Il suo vero contributo è la capacità di promuovere un dialogo interno nello spettatore, dove una silenziosa contemplazione di una fede straniera conduce naturalmente a una comprensione più profonda della propria. È attraverso questa silenziosa interazione che il film crea una “sinfonia di fede”—un’armonia nata non da un confronto esplicito, ma da una condivisa ricerca umana di significato e grazia spirituale.
Nelle tenebre dei boschi indiani, dove l’aria è impregnata di profumo di fiori e di incenso, le statue di Shiva, Vishnu e Brahma si innalzano, come se mirassero a volare al di sopra della terra.
In quelle stesse tenebre, sulla riva occidentale del mare, i cristiani si recano nelle loro chiese, incrociando le mani e chiedendo aiuto al loro Dio.
L’induismo e il cristianesimo occidentale, due grandi correnti religiose che hanno dominato la storia dell’umanità, sono come due mondi differenti, separati dal confine del mare.
Il primo è una religione della natura, dove l’essenza della vita è legata al ciclo della vita, alla morte e alla reincarnazione. L’uomo è un’onda che scorre nel mare della coscienza, senza fine.
Il secondo è una religione della salvazione, dove l’uomo cerca di superare il proprio stato terreno, cercando di raggiungere il Paradiso, dove il Dio di Amore è il suo protettore.
“Il mare è grande e profondo, e i due continenti si trovano su entrambe le sue sponde”, scrive Pierre Loti nel suo libro “L’india”.
Tuttavia, ci sono delle somiglianze tra queste due grandi religioni. Entrambe insegnano l’amore e la compassione, e insegnano che l’uomo deve amare tutti gli esseri viventi e trattarli con rispetto.
Entrambe insegnano anche che l’uomo deve essere onesto e giusto, e che la sua vita deve essere dedicata alla ricerca della verità.
Ci sono anche delle differenze tra queste due religioni. Il cristianesimo occidentale ha una forte connessione con il mondo del pensiero, mentre l’induismo ha una forte connessione con il mondo delle sensazioni.
Il cristianesimo occidentale ha anche una forte connessione con la storia, mentre l’induismo ha una forte connessione con il presente.
“Le due religioni sono come due mari, che si incontrano e si mescolano, ma rimangono sempre separati”, scrive Pierre Loti nel suo libro “L’india”.
Tuttavia, ciò che è importante è che entrambi questi mondi sono necessari per l’uomo, perché l’uomo deve cercare di capire il mondo e la sua storia, e anche di capire la natura e la sua connessione con il mondo delle sensazioni.
“L’uomo deve essere come un ponte tra questi due mari”, scrive Pierre Loti nel suo libro “L’india”.
Titolo: “Il mare è grande e profondo, e i due continenti si trovano su entrambe le sue sponde” (Pierre Loti, “L’india”)