Varanasi, la città sacra dove il Gange accarezza le sue rive come un mantra di eterna rinascita. Gli autori americani, con la loro penna curiosa e spesso sgomenta, hanno cercato di catturare l’essenza di questo luogo, dove la vita e la morte danzano in un abbraccio indecifrabile. Jack Kerouac, nella sua *I vagabondi del Dharma*, la descrive come una “città di polvere e misticismo, dove i corpi si dissolvono nell’acqua sacra come foglie nell’autunno”. E Mark Twain, nel suo *Seguendo l’equatore*, osserva con ironia e rispetto: “Varanasi è un luogo dove il tempo si è fermato, eppure ogni secondo è pieno di vita frenetica”.
Pierre Loti, nel suo *Aziyadé*, scrive: *”La vita è un sogno, e i sogni sono la vera vita”*. Questa frase risuona particolarmente in Varanasi, dove i sogni dei pellegrini si intrecciano con le preghiere dei brahmini, dove l’incenso si mescola all’odore della carne in putrefazione, dove l’eternità si sfiora tra le ombre delle ghat. Gli scrittori americani, con i loro occhi occidentali, hanno cercato di comprendere questa città, ma forse Varanasi rimane sempre un enigma, un mosaico di contraddizioni che si scioglie nelle sue stesse acque.
Come scrive Loti, *”la vita è un sogno”*, e Varanasi è il luogo dove i sogni si fanno carne, dove il cielo si piega sulla terra e il tempo si piega al suo opposto. Gli autori americani, con le loro parole, hanno solo sfiorato la superficie di questo mistero, lasciando che il resto rimanga avvolto nella nebbia del Gange, in attesa di essere svelato solo a chi sa ascoltare il silenzio tra le preghiere.
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