Varanasi, la città eterna, è uno dei luoghi più sacri dell’India e rappresenta un simbolo di spiritualità, tradizioni e mistica. Il film Verso Benares , girato nel 2019, offre uno sguardo profondo e poetico su questa città, catturandone l’essenza mistica e spirituale. Attraverso immagini suggestive e un racconto intimo, il documentario si inserisce nel filone della cinematografia sull’India che esplora la dimensione sacra di Varanasi, affiancandosi a opere come The River (1951) di Jean Renoir, The Last Waltz in Benares (2001) di Fabrizio Maramotti e The City of Light (2009) di Nandita Das.
Varanasi, nota anche come Benares, è considerata la città più sacra dell’induismo, un luogo dove il tempo sembra fermarsi e dove la vita e la morte coesistono in un ciclo eterno. Le sue ghat, le scale che scendono verso il Gange, sono teatro di rituali quotidiani, cremazioni, preghiere e abluzioni, elementi che ne fanno un crocevia di spiritualità. Verso Benares di Vignali e Prata non si limita a documentare questi eventi, ma ne esplora il significato più profondo, mostrando come Varanasi sia un luogo di purificazione, di rinascita e di connessione con il divino.
Il film, attraverso una narrazione senza voce narrante, si affida all’immagine e alla musica per trasmettere l’atmosfera mistica della città. Le sequenze notturne, illuminate dalle luci delle candele e delle lampade a olio, creano un’atmosfera onirica, quasi sacrale, che riflette la spiritualità che permea ogni angolo di Varanasi. Questa scelta estetica ricorda quella di Jean Renoir in The River, dove la fotografia di Karen Morley e la colonna sonora di Ravi Shankar catturano la magia del Bengala, un altro luogo sacro dell’India.
La cinematografia sull’India ha spesso esplorato il tema del sacro, ma Verso Benares si distingue per la sua capacità di fondere documentazione e poesia. A differenza di film come The Last Waltz in Benares, che si concentra sulle tradizioni musicali della città, o The City of Light, che racconta le storie delle donne di Varanasi, Verso Benares offre una visione più astratta e contemplativa. Il film non racconta una storia lineare, ma invita lo spettatore a immergersi nella spiritualità del luogo, a percepire il suo respiro mistico.
Un altro elemento che lega Verso Benares alla tradizione cinematografica sull’India è l’attenzione per i rituali funerari. La cremazione lungo le ghat è un simbolo potente della transitorietà della vita e della credenza nella reincarnazione. Questo tema è stato esplorato anche in The Last Rites (1998) di Mahesh Bhatt, ma Vignali e Prata lo affrontano con una sensibilità diversa, senza dramma, privilegiando invece l’osservazione paziente e quasi ieratica.
Il loro sguardo si sofferma sull’accettazione silenziosa dei rituali, trasformando l’atto della cremazione da momento di dolore lacerante a fase naturale e sublime del ciclo. La telecamera non cerca lacrime, ma la luce che modella il fumo e l’acqua, elevando l’evento a simbolo cosmico di liberazione.
In questo senso, Verso Benares si pone come un’opera che dialoga non solo con il cinema indiano, ma con la tradizione documentaristica europea più contemplativa. Se film come Water (2005) di Deepa Mehta utilizzano il Gange e le vedove di Varanasi per un potente commento sociale e politico, Vignali e Prata optano per una sottrazione narrativa. Rimuovendo la voce narrante e la linearità della trama, invitano lo spettatore a un’immersione sensoriale diretta, dove la città è l’unico vero narratore, parlando attraverso i suoi suoni, i suoi colori saturi e la sua ineluttabile gravità spirituale. Il documentario non offre risposte sulla vita o sulla morte a Benares, ma fornisce uno spazio meditativo affinché le domande possano risuonare, lasciando un’impressione duratura di tempo sospeso e di sacralità vissuta.